lunedì 4 febbraio 2013

ASP, ARPACAL, SORICAL E BENZENE...

Il lago avvelenato dell'Alaco oggi posto sotto sequestro
A pensarci così, d’amblè, ci si chiede come una sostanza tipo il benzene, contenuto nei processi industriali petroliferi, sia potuto arrivare fino a mille metri di altezza. Eppure, secondo le analisi confermate dall’Asp di Catanzaro, quel costituente è li nelle acque del bacino oggi come ieri sempre più avvelenato. Del resto, parlare dell’Alaco è un po’ come raccontare il segreto di pulcinella. Tutti sanno. E quelli che non sanno immaginano. Perché l’acqua che scorre nei rubinetti di 400milacalabresi è fetida. Fetida e puzzolente. E poi odora di malapianta. Quella, ad esempio, del binomio pubblico-privato che porta il nome di Sorical. O addirittura quella dell’Arpacal, che per settimane custodisce in un cassetto dati allarmanti di sostanze pericolose come il benzene, rilasciandole - per non si sa quale incredibile ragione, forse ci penserà la magistratura - dopo settimane. Per non parlare ovviamente dei tanti sindaci corresponsabili del disastro ambientale più grave degli ultimi decenni. Perché giorno dopo giorno, malgrado le pezze e le rassicurazioni mosse dagli amministratori locali in primis, principali testimonial positivi della ormai famosa catena di sant’Antonio “total calabra”, la torbida situazione che circonda il vibonese inizia davvero ad assumere contorni fin troppi chiari e, purtroppo, fin troppi disastrosi. Se alle fine delle indagini la Procura avrà avuto ragione a dubitare di questo sistema malato, l’accusa più infamante per alcuni dei 26 indagati del capitolo “Acqua sporca” sarà avvelenamento colposo di massa. Un triste suggello ai tanti presentimenti di moltissimi visionari che già da parecchi anni lanciano allarmi inascoltati. E la memoria fa un passo indietro, iniziando a ricomporre pezzi di un puzzle che, malgrado i tentativi continui di insabbiamento e sottovalutazioni varie, trovano spazio e forza in una sorta di giustizia divina. Perché in questo tremendo racconto di colonizzazioni condivise dai colonizzati tutto ritorna sempre a galla. Feci incluse. E si ricorda improvvisamente la vecchia storia di una ditta cosentina appartenente ad un imprenditore coinvolto in traffici illeciti di materiale tossico e che, dice una legenda sempre meno legenda, scaricava nell’invaso delle Serre fusti inquinanti e addirittura interi camion carichi di qualunque nefandezza. Poco prima dell’inchiesta partita dalla Procura di Vibo, i responsabili della società che gestisce gli acquedotti regionali, si erano persino spinti a proclamare il liquido da loro trattato talmente buono da potersi anche bere. Semplicemente verrebbe da dire “vergogna”. Ma occorre rimanere fiduciosi perché non tutto può essere sottaciuto, specie quando l’evidenza dei fatti imputabili, mista alla gravità degli stessi, sono così pesanti. A meno che non si voglia far passare questo nuovo allarme come un problema superabile in tempi brevi. Non è più il caso. Un po’ perché sembra ormai impossibile conciliare due realtà antitetiche fra loro come, appunto, Alaco e acqua buona, e un po’ perché di tempo, la cittadinanza, non ne è più disposta ad attenderne. Diversamente, i calabresi dovrebbero prendere atto del loro valore di uomini e cittadini, venduti caramente al potente di turno per le solite quattro lire.

Angelo De Luca

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