Il misterioso affondamento di tre imbarcazioni riapre il caso dei veleni finiti in fondo al mare: la “Mikigan”, la “Rigel” e la “Four Star”. Trasportavano polvere di marmo. I pentiti Fonti e Di Giovine e il “giallo” insoluto della “Cunsky”.
Un vecchio “trucco”. Usato per nascondere un
immondo traffico. Un “trucco” adoperato nelle acque del Mediterraneo
come in quelle dell'Oceano Atlantico per confondere investigatori
pignoli e modernissimi strumenti di ricerca. Lo stratagemma adoperato
tra gli anni ’80 e ’90 in giro per i mari del mondo ha il nome di una
sostanza apparentemente insignificante: la polvere di marmo. Una
sostanza capace di schermare le scorie radioattive. Di limitarne la
devastante capacità inquinante durante il trasporto e di renderle
invisibili ai rilevatori durante i controlli nei porti. Una polvere che,
dalle carte d’imbarco, risultava custodita in grandi quantità nelle
stive di alcune navi affondate in circostanze sospette nel Mediterraneo
tra il 1986 e l’88. Tre sono colate a picco in acque internazionali,
davanti alle coste calabresi: la “Mikigan” il 31 ottobre del 1986; la
“Rigel” il 21 settembre 1987; e la “Four Star I” il 9 dicembre 1988. La
prima era partita dal porto di Marina di Carrara, la seconda pure, la
terza, invece, proveniva da Barcellona (Spagna). La “Mikigan” rimase a
galla per dodici ore, la “Rigel” per diciotto; l’altra, battente
bandiera dello Sri Lanka, finì sui fondali del mar Jonio in circostanza mai completamente ricostruite e in un punto non individuato.
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