C'è soddisfazione tra gli uomini della distrettuale antimafia di Catanzaro per l'operazione messa a segno contro il clan Mancuso che ha portato al fermo di 24 persone indiziate di delitto. Ma, come ha spiegato la stessa procura, il lavoro non è finito e le indagini proseguono per capire i possibili condizionamenti che la cosca ha esercitato sulla politica e sul mondo professionale vibonese
http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/711486/-Un-lavoro-di-squadra-ma.html
CATANZARO – «Abbiamo concluso un lavoro di squadra, importante che è
andato avanti nel corso del tempo e che ha colpito la costellazione dei
Mancuso». Parola del procuratore capo di Catanzaro Vincenzo Antonio
Lombardo. E aggiunge il Procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe
Borrelli: «Il lavoro non è ancora terminato». Perché, adesso, il
prossimo obiettivo della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro è
quello di individuare i rapporti con il mondo della politica e dei
professionisti. Perché, hanno spiegato ancora, «i Mancuso non si fermano
davanti a nulla. I Mancuso non intervengono in campagna elettorale, ne
sono protagonisti». All'operazione ha partecipato anche la Guardia di
finanza di Trieste. Proprio in una banca friulana gli uomini della cosca
avevano inviato diverse somme di denaro che a breve sarebbero state
investite in quell'area del Paese per essere riciclate. I dettagli sono
emersi durante la conferenza stampa che si è tenuta oggi nella sala
delle conferenze della Prefettura di Catanzaro. Assieme ai procuratori
catanzaresi anche tutti i dirigenti delle forze dell’ordine (Polizia e
Squadra Mobile, Guardia di finanza di Catanzaro e Trieste, Gico,
carabinieri del Ros) che hanno lavorato per anni e per mesi con il fiato
sul collo della cosca Mancuso. «Un’indagine molto complessa» ha
spiegato in conferenza il Procuratore Lombardo che ha ricordato la
genesi e l’evoluzione della cosca Mancuso nel territorio di Vibonese.
Presente alla conferenza anche il Procuratore della direzione nazionale
antimafia Vittoria De Simone: «La mia presenza qui testimonia
l’apprezzamento per il lavoro svolto e che la Dda di Catanzaro sta
continuando a svolgere sul territorio del Vibonese. È stato acquisito
tanto materiale investigativo e grazie al lavoro delle forze dell’ordine
e dei magistrati si è riuscito a ricostruire tutto il contesto assieme
ai rapporti della cosca Mancuso con il settore imprenditoriale,
commerciale ed economico». È toccato poi al Procuratore aggiunto
Giuseppe Borrelli ricostruire la vicenda. «L'impegno della Dda di
Catanzaro è massimo rispetto a tutto il territorio di competenza – ha
rimarcato Borrelli - e gli ottimi risultati raggiunti uno dopo l'altro
lo testimoniano con i fatti. È importante che questo si comprenda a
fondo, perchè tutti sappiano che la giustizia non fa sconti a nessuno. È
una garanzia per i cittadini, tutti, in ogni angolo della regione».
Borrelli ha ripercorso il contesto in cui si è indagato per mesi e
soprattutto ha spiegato come «il provvedimento si è reso necessario
considerata l’attività di delegittimazione che si stava portando avanti
contro diversi esponenti delle forze dell’ordine. Adesso abbiamo colpito
la parte “nera” adesso l’attenzione sarà portata avanti per
contestualizzare i rapporti con i politici e con i professionisti».
Anche perché da alcune intercettazioni telefoniche sarebbe emerso anche
l’interesse delle cosche verso alcune delle elezioni amministrative che
hanno portato al rinnovo dei Consigli comunali. Per questo motivo Un
lavoro ha tenuto a precisare Borrelli che è possibile grazie al fare
«squadra» portata avanti dai sostituti procuratori in servizio a
Catanzaro. Oltre al Procuratore Lombardo e all’aggiunto Borrelli le
indagini sono state coordinate anche dai sostituti procuratori Pierpaolo
Bruni e Simona Rossi e al sostituto procuratore generale Marisa Manzini
(già firmataria di molte inchieste sul clan Mancuso quando era in
servizio alla Dda). Nella conferenza sono emersi poi anche alcuni
episodi che sono alla base delle indagini e che sono significati del
ruolo della cosca. Vittima dell’episodio un imprenditore a cui erano
stati prestati 8 mila euro e solo dopo poche settimane ne avrebbe
dovuto restituire 20 mila. Ma in quel momento la vittima non poteva
saldare il debito. Per questo motivo fu prelevato, portato in campagna e
legato a un albero. Lì rimase fino alla mattina quando, secondo la
ricostruzione dell’accusa, il fratello portò i soldi.
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