lunedì 21 gennaio 2013

Don Gatano ti da una mano...


Il pluritrasformista della politica locale, Gaetano Ottavio Bruni, ritorna "leader maximo" di un partito ed è pronto a fare il botto di consensi per l'Udc di Monti e Casini. Stillitani? Già dimenticato.

Francescantonio Stillitani e Gaetano Ottavio Bruni hanno qualcosa in comune: entrambi hanno sbattuto la porta al proprio partito per questione di nomine. Al primo non è bastata l’idea di stare al terzo posto nelle liste Udc alla Camera, mentre al secondo non è andata giù la scelta calata dall’alto di mettere al suo posto, nelle liste Senato per la Calabria del 2008, tale Daniela Mazzuconi da Usmate Velate. Entrambi , mal sopportando l’esclusione, hanno così deciso di tagliare la corda. E se per Stillitani il futuro ancora è incerto, con un posto di assessore lasciatogli “con amicizia e stima” per qualche altra settimana in stand-by, per Bruni, al contrario, l’allora uscita volontaria dal Pd è risultata invece come una rinnovata verginità. Che per un uomo in trincea dal 1975, ovvero già quattro anni prima di Margaret Thatcher,  è decisamente un elisir vitale. Ora, da quando verrà formalmente incaricato, ovvero già dal dopo elezioni nonostante le bocche cucite dei suoi superiori, il suo lavoro sarà quello di ricostruire le linee guida di un partito fin qui assente o quasi dalle scene della politica locale. Un compito sulla carta facile, ma nella pratica non così tanto, viste le tante anime presenti  sul territorio più o meno vogliose di posti al sole e privilegi da casta. Certo, lo scudocrociato vibonese non è, al pari di quello nazionale o cosentino, un blocco monolitico di parenti e famigliari, ma è senza dubbio un luogo di altrettante prime donne. Che poi in fondo è la stessa storia.
Un uomo dalla gestione scientifica del consenso
Che Gaetano Ottavio Bruni sia, come scritto da “il Foglio” in un articolo del 2006, “una macchina da guerra elettorale che da solo vale il 62 per cento dei voti in provincia di Vibo Valentia” del resto è un fatto noto a chiunque. Ragion per cui l’Udc potrebbe considerare l’uscita dalla porta principale di Francescantonio Stillitani decisamente indolore. Due leader, diversi inoltre fra loro soprattutto nell’interpretazione gestionale di un partito, non sono mai buoni. E se c’è da scegliere, specialmente quando qualcuno si autoesclude per ragioni di poltrona mancata, è logico che a vincere sarà colui il quale garantisce tranquillità numeriche. Infatti, la matematica non sarà per nulla sfuggita ai vertici del partito regionale, che già da sabato mattina ha dato contemporaneamente il congedo con tanto di “grazie” al dimissionario Stillitani per dare, senza ancora formalizzare niente, il benvenuto a mister 7 mila preferenze, ovvero Bruni. Lui, il cavallo di razza pluridecorato della politica vibonese, sedutosi da ultimo arrivato ai margini di un tavolo di presidenza carico di esponenti di primissimo piano, ha preferito il silenzio, lasciando parola ai Trematerra e a Roberto Occhiuto, rispettivamente padre, figlio e spirito santo dello scudocrociato nostrano. Solo due parole, lapidarie, per rispondere alla domande rivoltegli: “Ho perso la battaglia, ma vincerò la guerra”. E a quale battaglia e a quale guerra il buon Gaetano abbia fatto riferimento non è dato sapere. E’ risaputa, invece, la consapevolezza di avere in mano lo strumento per fare dovunque bella figura. E le truppe cammellate stanno sempre li a testimoniarlo.
Un po’ di Bruni al giorno leva gli “amici” di torno…
Di sicuro, però, c’è che da quando ha riproposto la logica dell’entrismo nell’Udc vibonese si è scatenato l’inferno. Prima la promessa di fare battaglia in consiglio comunale, persa sul piano politico ma vinta sul piano della coerenza, poi quella alla Provincia con il suo prepotente zampino nella caduta dell’amministrazione De Nisi e infine l’autosospensione del personaggio più rappresentativo, nel quale sicuramente Bruni non è di certo un responsabile, ma che d’altra parte non può non essere visto, specialmente dallo stesso Bruni, come un grande regalo di Natale posticipato. Forse non si aspettava nemmeno lui di prendere in mano così facilmente la squadra, risparmiandosi così la fatica di quello che in realtà sarebbe stato a lungo andare un obiettivo comunque prefissato dall'inizio. Perché è chiaro che un uomo carico di consensi a destra e manca non sposerà mai un progetto politico per il solo gusto di fare, appunto, politica militante. Il leader, alla fine della corsa, dev’essere uno soltanto. E il leader, ovunque egli sia andato e portandosi a spasso gli stessi 7 mila e passa voti, è stato sempre lui. 

Angelo De Luca

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