In particolare: Topia e Franzè (20 anni a testa); Galiano e Alessandro Pugliese (17); Della Rocca, Paolì, Giuseppe e Vincenzo Pugliese (15); Galati e Grillo (12). Rito abbreviato, davanti al gup di Reggio, per gli imputati coinvolti nell’operazione “Meta 2010”.
Ammontano a 158 anni di carcere complessivi
le richieste di pena formulate ieri dalla Dda di Reggio Calabria per i
10 vibonesi accusati di narcotraffico su scala internazionale coinvolti
nell’operazione “Meta 2010”, condotta dai carabinieri del comando
provinciale di Roma il 10 novembre 2011 e poi trasferita dalla Dda
capitolina a quella reggina essendo il primo sbarco di cocaina avvenuto
nel porto di Gioia Tauro. Nonostante il rito abbreviato – che comporta
uno sconto di pena pari ad un terzo in caso di condanna – il pm
Alessandra Cerreti ha chiesto al gup distrettuale reggino 20 anni di
reclusione a testa per Giuseppe Topia, 32 anni, di Vibo, residente a
Ionadi (avv. Salvatore Staiano e Domenico Alvaro) e per Antonio Franzè,
34, di Vibo (avv. Francesco Muzzopappa e Staiano). Per Giorgio Galiano,
38 anni, di Vibo (avv. Sergio Rotundo e avv. Muzzopappa) la richiesta di
pena ammonta invece a 17 anni di carcere, mentre 15 anni di reclusione a
testa sono stati avanzati per Antonio Della Rocca, 34, detto “Spillo”,
di Vibo (avv. Muzzopappa) e per Filippo Paolì, 33 anni, di Vibo (avv.
Domenico Ceravolo e Muzzopappa). Richiesta di condanna a 12 anni
ciascuno è stata poi formulata per Giuseppe Galati, 42, di San Calogero
(avv. Muzzopappa e Francesco Lojacono) e per Francesco Grillo, 41, di
Paradisoni di Briatico (avv. Antonio Crudo e Bruno Ganino). Infine, 15
anni a testa è la richiesta per Giuseppe Pugliese, 59 anni, di Sciconi
di Briatico (avv. Giovanni Vecchio e Giuseppe Bagnato) ed il figlio
Vincenzo, 37 anni (avv. Vecchio), mentre a 17 anni di carcere ammonta la
richiesta avanzata per Alessandro Pugliese, 36 anni, (avv. Vecchio),
altro figlio di Giuseppe. Secondo l’accusa, i 10 vibonesi avrebbero
fatto parte dell’organizzazione diretta da Vincenzo Barbieri, il broker
della droga ucciso a San Calogero il 12 marzo del 2011. L’operazione
“Meta”ha quindi portato ad uno dei più grossi sequestri di cocaina mai
effettuati negli ultimi 20 anni in Europa. Ben 2.200 chili di sostanza
stupefacente – del valore complessivo di 500 milioni di euro una volta
immessa sul mercato – sono stati infatti bruciati dai carabinieri nel
marzo dello scorso anno nel termovalorizzatore per rifiuti speciali
ospedalieri di Roma. Oltre ai due carichi sequestrati – uno di mille
chili ed un altro di 1.200 chili –, al centro delle contestazioni vi
sono pure due tentativi di importazione di cocaina via area, di cui uno
quantificato in 400 chili di stupefacente. Dopo l’omicidio di Barbieri,
al vertice del gruppo si sarebbero posti, ad avviso del pm, Giuseppe
Topia, Giorgio Galiano (genero di Barbieri), e Antonio Franzè, alias
“Platinì. In particolare, i tre vibonesi avrebbero dato le direttive
agli altri associati per la realizzazione delle importazioni di
stupefacenti e per la spedizione del materiale di copertura, decidendo
le strategie da adottare in occasione delle criticità e prendendo
contatti con i fornitori sudamericani attraverso la famiglia Pugliese di
Briatico. Giuseppe Topia, inoltre, sarebbe stato sino al 12 marzo 2011
in costante contatto con Barbieri recandosi in numerose occasioni a Vibo
ed a Bologna per incontrare personalmente il broker della cocaina e
conferire con lui in ordine a tutte le questioni inerenti le transazioni
illecite in corso, gestendo pure la fase di individuazione dei siti per
lo stoccaggio provvisorio della cocaina. Giuseppe e Vincenzo Pugliese
avrebbero quindi rappresentato, secondo l’accusa, lo “snodo” fra i
colombiani ed i vertici dell’organizzazione italiana ed entrambi
sarebbero stati impegnati nel trasferimento del denaro all’estero in
cambio dello stupefacente. Alessandro Pugliese, invece, stabilitosi in
Colombia, nella zona di Meta, sarebbe entrato in contatto con il narcos
Guerrero Castillo Olivero. Giuseppe Galati sarebbe stato poi un «uomo di
fiducia di Barbieri, curando i contatti con gli acquirenti dello
stupefacente» e nelle intercettazioni viene menzionato «con
l’appellativo di “zita di Francesco”per la sua stretta vicinanza, per
asseriti motivi di affari, a Barbieri Francesco, figlio di Vincenzo».
Infine, Della Rocca avrebbe coadiuvato Franzè «in tutte le attività
illecite», mentre Paolì, rapportandosi con Topia, avrebbe provveduto
alla materiale consegna del denaro. L’associazione, forte di ingenti
capitali, avrebbe operato fra il Vibonese, Bologna, Bari, Milano ed il
Sud America, dal 2010 al giugno del 2011.
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